L’inclusione scolastica nelle carte storiche dell’Istituto dei Ciechi di Milano

Relazione presentata al convegno “Archivi scolastici come risorsa didattica e come memoria di comunità” (ex chiesetta del Parco trotter, Milano, 5 dicembre 2018)

 Enrica Panzeri

L’Archivio storico

archivio panzeri percosi tematiciPic01Il lavoro di recupero delle carte storiche dell’Istituto dei Ciechi dalle cantine e dagli uffici iniziato negli anni Duemila grazie al concreto interesse dell’allora commissario straordinario Rodolfo Masto, in realtà non si mai concluso definitivamente a causa del continuo ritrovamento di materiali storici che emergono dai locali. Attualmente l’archivio[1] i cui estremi cronologici sono compresi tra il 1840 (anno di fondazione dell’Istituto – antecedenti al 1793) e il 1976 (anno di cessazione della funzione educativa dell’ente – seguiti al 1994), conteggia circa 1.000 pezzi tra buste, registri, pacchi, quaderni che si sviluppano per un centinaio circa di metri lineari. Il ricco e cospicuo patrimonio documentario inventariato informaticamente mediante l’applicativo di Regione Lombardia Archimista risulta composto da 4.976 unità organizzate dentro una complessa struttura articolata in 5 Sezioni principali già impostate dall’archivista Giuseppe Pomi nel lontano 1891: Istituzione - Amministrazione – Benefattori - Assistenza e Istruzione (ex Beneficenza) - Registri particolari.  

Documenti archivio storicoAlcune delle serie documentarie della sezione Assistenza e Istruzione (ex Beneficenza), di cui si riportano i titoli e indicazioni cronologiche, ci offrono immediatamente uno spaccato sui materiali inerenti al tema in oggetto: Allievi 1840–1987; Rettorato 1842–1983; Asilo Infantile (Convitto Vitali) 1905–1940; Scuola Elementare (riformata e parificata) 1915–1959; Scuola Elementare Statale 1952– 1978; Scuola Musicale 1878–1979; Regia Scuola d'Avviamento (dal 1963 Scuola media statale) 1939–1976; Scuola Lavori femminili (Maglieria e Tappeti) 1952–1971; Scuola Massaggio 1958–1978; Segreteria scolastica 1939 – 1971.

Attraverso la lettura di questi nuclei documentari concernenti in particolare l’argomento della didattica, dell’educazione e dell’addestramento professionale dei ciechi possiamo approfondire gli strumenti utilizzati dall’Ente già a partire dal 1840 per fornire autonomia, dignità e la piena indipendenza al non vedente.

L’Istituto

Dipinto: veduta dell'Istituto dei Ciechi di Milano L’Istituto di Milano nasce nel 1840 all’interno della Pia Casa d’industria di S. Vincenzo su sollecitazione austriaca del Governatore Francesco von Härtig, quale terzo istituto in Italia per l’assistenza ai non vedenti, dopo l’Ospizio dei SS. Giuseppe e Lucia fondato a Napoli nel 1818 e l’Istituto centrale pei ciechi sorto a Padova nel 1838. L’Istituto dei ciechi, infatti, come molti altri enti assistenziali nati a Milano durante la Restaurazione e dopo l’Unità, sorgeva in seguito all’identificazione di una stringente necessità sanitaria e sociale, ma con il fermo proposito di fornire alla classe di assistiti, cui apriva le porte di un nuovo ricovero, gli strumenti per raggiungere l’autonomia professionale e il reinserimento sociale. Temi[2] che sono riproposti nel bel ritratto eseguito dal pittore Francesco De Magistris del fondatore dell’istituto il rag. Michele Barozzi[3] (1795-1867) già direttore delle pie Case d’Industria di S. Vincenzo e S. Marco raffigurato con i primi due piccoli ospiti ciechi Giuseppe Fabbrica e Antonietta Banfi. Il dipinto risalente al 1843 è tuttora esposto ai visitatori presso la quarta[4] e attuale sede dell’istituto di via Vivaio 7 progettata dall’architetto milanese Giuseppe Pirovano ed edificata nel 1892 sopra l’ortaglia dei conti Cicogna in gemellaggio con quella francese dell’Institut National des Jeunes Aveugles di Parigi.

L'edificio dell'Istituto dei Ciechi in una foto degli anni Cinquanta del Novecento.L’edificio concepito per 200 allievi oltre al personale, si sviluppa ancora oggi con un corpo centrale, costituito dal Salone Barozzi e dalla Chiesa (non più attiva), e due corpi laterali simmetrici, affacciati su cortili porticati divisi a metà da un’elegante loggia.  L’idea di un convitto così strutturato e delle fervide attività che in esso vi si dovevano svolgere, erano già in nuce negli articolati progetti stilati dal fondatore Barozzi giunti fino a noi. Questi intenti programmatici, datati 13 maggio 1836 e 10 luglio 1845 appaiono infatti ricchi di dettagli sull’organizzazione e sul futuro funzionamento dell’Istituto; in particolare l’accurata relazione del 1845 dal titolo della sua fondazione, del suo sistema disciplinare ed amministrativo, de’ metodi di istruzione e del loro risultato composta da numerose pagine e corredata da interessanti tabelle (i cataloghi[5] antesignani dei registri scolastici) e da prospetti riportanti i nominativi degli insegnanti e le attività quotidiane svolte dagli allievi, ci informa su quanto di operativo fosse già stato messo in atto in campo educativo per la comunità a solo quattro anni dalla fondazione dell’Ente.

Gli allievi

Il pianista Alberto Mozzati, ex allievo dell'Istituto dei Ciechi di MilanoIn archivio conserviamo i fascicoli delle ammissioni dei singoli allievi che ammontano ad un numero di circa 1000 unità a partire dalla fondazione fino all’anno 1982. Le coperte degli incartamenti appaiono di diversi colori: le grigie di carta rugosa racchiudono le carte più antiche appartenenti a metà Ottocento e ai primi decenni del Novecento, le arancioni conservano le carte degli anni Trenta e Quaranta, quelle che recano l’intestazione dell’Istituto e una maschera prestampata per inserire i dati degli allievi custodiscono le più recenti degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta.  All’interno i fascicoli, organizzati in ordine alfabetico e intestati al singolo allievo, contengono modulistica compilata per l’ammissione alla comunità, carte personali dell’alunno e della famiglia e generica corrispondenza; negli anni moderni il fascicolo poteva essere corredato dalla fotografia del ragazzo/a che generalmente veniva appuntata sul risvolto della coperta. Chi poteva accedere all’Istituto? I ragazzi non vedenti o ipovedenti gravi provenienti dalla Lombardia e da altre parti d’Italia che avessero compiuto 8 anni. Le famiglie più bisognose potevano godere dell’ammissione gratuita al collegio dei figli mentre le famiglie abbienti pagavano una retta. I costi degli allievi poveri venivano sostenute dalla beneficenza cittadina e, a partire dagli anni Trenta dalle Amministrazioni provinciali.  Da uno screening sui materiali d’archivio sappiamo che gli allievi provenivano soprattutto dalle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Como. Una volta entrati a far parte della comunità gli allievi rimanevano per l’intero ciclo di studi della durata di circa 8 anni; al termine del percorso educativo veniva consegnato loro un violino o altra strumentazione scolastica, consuetudine che poi tende a sparire già nel primo Ventennio del Novecento.  Diversi furono gli allievi che godettero grazie agli studi compiuti in Istituto di risultati ragguardevoli dal punto di vista professionale soprattutto nel campo musicale; se ne citano alcuni: Cesare Luvoni (1830-1882 letterato e musicista), Antonio Ascenso (1850-1938 musicista compositore), Paolino Bentivoglio (1894-1965 politico), Antonietta Banfi (1832-1869 arpista), Emilio Schieppati (1876-1944 musicista compositore) Alberto Mozzati (1917-1982 musicista compositore) Enrico Ceppi (1923-1988 educatore).  L’allievo Antonio Ascenso in particolare oltre che per la sua fervida carriera, è ricordato perché ebbe il merito di introdurre l’alfabeto braille nel 1863 presso l’Istituto di Milano, avendolo già usato correntemente presso l’Istituto di Marsiglia.[6] Ricordiamo che prima dell’utilizzo del braille i ciechi a Milano leggevano attraverso l’impiego di lettere dell’alfabeto in rilievo o puntinate secondo l’adozione di vari metodi Haüy, Klein, Foucault[7] e scrivevano al nero con l’ausilio di tavolette corredate da regoli mediante cui potevano comunicare con il vedente ma non avevano la possibilità di rileggere. Il codice braille quindi rappresentava per il cieco una vera e propria rivoluzione culturale: mediante l’utilizzo di soli 6 puntini realizzati con un punteruolo si poteva scrivere, leggere, contare e produrre musica abbastanza agilmente, come testimoniano le prove d’esame degli alunni (temi, problemi di matematica, dettati, spartiti) conservate in archivio.

I rettori

Luigi Vitali ritratto in Sala Barozzi, primo decennio del XX SecoloVeri promotori della vita educativa degli allievi furono i rettori, che nel loro succedersi, seppero reggere con efficacia le sorti della comunità fino agli anni Settanta, grazie al consenso e al costante appoggio del Consiglio di amministrazione dell’Istituto.[8] I rettori a cui si fa storicamente riferimento sono: monsignore Luigi Vitali (1836-1919) e monsignore Pietro Stoppani (1865-1941) entrambi rappresentanti validi di quel clero conciliatorista e rosminiano del panorama milanese che non avrebbe mai avuto una brillante carriera ecclesiastica a cause delle idee professate.  Sia Vitali che Stoppani lasciarono i più importanti scritti programmatici e le più acute riflessioni critiche sulle scelte educative dei non vedenti, pur non essendo tiflologi né pedagogisti rinomati; dei loro intendimenti conserviamo in archivio parecchia documentazione anche a stampa, mentre risultano pressoché inesistenti carteggi a carattere personale.  Luigi Vitali, originario di Bellano in provincia di Lecco, fu ordinato sacerdote nel 1859 dopo aver compiuti gli studi religiosi in un ambiente del clero progressista milanese; una volta rettore nel 1876, fece in modo che l’attività dell’ente fosse conosciuta sempre più largamente, allo scopo di ottenere il sostegno dei milanesi grazie alle numerosissime iniziative da lui promosse. Famosa la sua partecipazione ai convegni sulle Opere pie e ai congressi italiani e esteri sull’educazione dei ciechi, fra cui il congresso svoltosi ad Amsterdam nel 1855 dove venne presentato l’inchiostro in rilievo da lui inventato. Figura a tutto tondo, si occupò personalmente dell’erezione della nuova sede dell’istituto nel 1892 avendo cura che architettonicamente soddisfacesse i bisogni della comunità, promosse la formazione letteraria e musicale sull’educazione dei ciechi, curò nel 1881 l’apertura del Laboratorio Zirotti per l’addestramento professionale per i ciechi adulti e fondò nel 1905 con l’aiuto di Patronesse milanesi l’Asilo Infantile.

Ritratto di Pietro StoppaniLo Stoppani divenuto sacerdote nel 1888, nipote di Antonio famoso autore del Bel Paese, assunse l’incarico di direttore spirituale presso l’Istituto dei Ciechi nel 1892 per divenirne nel 1914 rettore in sostituzione del predecessore Vitali.  Appassionatasi alla materia sarebbe divenuto nel giro di breve uno dei massimi esperti di tiflologia assieme ad Augusto Romagnoli (1879-1946) il fondatore della scuola di metodo per gli educatori dei ciechi di Roma. Grazie a lui furono approvate una serie di riforme concernenti l’Istituto: il regolamento organico e l’organizzazione degli studi letterari e musicali al fine di equipararli a quelli dei vedenti. Stoppani si dedicò inoltre con passione al tema della rieducazione dei soldati ciechi reduci dai bombardamenti della prima guerra mondiale ospitati per un periodo presso Istituto.  Prima di abbandonare l’attività di rettore nel 1931 a causa dell’età avanzata e per le precarie condizioni di salute riuscì ad avviare il progetto di un ricovero per cieche adulte, la cui costruzione fu avviata nel 1925 e denominata successivamente Casa Famiglia Stoppani.

La Scuola Elementare

Due bambine in grembiule della scuola elementare giocano in cortile con un carrettoLa risistemazione dell’istruzione scolastica elementare che era stata impartita fin da metà Ottocento in modo discontinuo con un metodo più di famiglia che scolastico[9], precariamente organizzata nonostante gli sforzi della direzione dell’Istituto, e attuata mediante l’utilizzo di insegnanti ciechi (ex allievi che erano rimasti presso l’istituto), a partire dal 1915 vive una fase di rinnovamento pressoché integrale.  La prima ipotesi di riforma dell’attività didattica si concretizza in un corso di studi elementari ispirato ai programmi delle scuole comunali, conforme ai tempi e alle modalità di apprendimento del non vedente. Il nuovo Ordinamento didattico prospettava infatti l’avvio di quattro classi, con la prima elementare mista, e il passaggio da due a quattro ore di lezione quotidiane. La prima e la seconda elementare dovevano essere assegnate a due maestre vedenti delle scuole comunali; le altre due sezioni potevano disporre sia di insegnanti vedenti che di maestri ciechi. In totale conformità con i programmi pubblici, che prevedevano l’insegnamento della lingua italiana, dell’aritmetica, della storia e della geografia nelle classi più avanzate, dell’educazione fisica e del canto, il piano didattico della scuola elementare di via Vivaio integrava anche alcune materie specifiche relative alla patologia dei suoi allievi: vi erano quindi gli esercizi educativi dei sensi, le lezioni di cose, le conversazioni e le notizie varie. L’alunno apprendeva nozioni sul corpo umano e norme d’igiene personale, domestica e pubblica, studiava le proprietà fisiche dei corpi avvalendosi di dimostrazioni pratiche ed esercitando la percezione dei fenomeni naturali, riceveva notizie sulla fauna, sulla flora e sui minerali comuni e utili[10]. Durante questo periodo sperimentale non mancarono però alcuni problemi definiti di pedagogia emendativa, legati cioè all’applicazione del metodo d’insegnamento; la risoluzione delle difficoltà fu affidata ad un’apposita Commissione scolastica i cui esiti vennero stampati nel 1922 nell’opuscolo dal titolo Istruzioni e Programmi per le Scuole Elementari dei Ciechi a cura dell’insegnante Ines Locatelli, impiegata presso l’Istituto. Del tutto simile al programma del 1917, ma corredato da un’ampia gamma di istruzioni attorno alle capacità cognitive del cieco destinate ai maestri vedenti, esso suddivideva l’attività didattica in sei classi: quattro elementari, una quinta e una sesta popolari. In quel periodo la scuola era frequentata nel 1922 da circa un centinaio e più di alunni.

La documentazione relativa a questo periodo di ricerca è racchiusa in alcuni fascicoli corposi sul difficile compito di adeguamento alla scuola per normodotati dell’obbligo e al dibattito interno, contenenti gli opuscoli a stampa sopra citati. 

Gli anni Venti e Trenta furono altrettanto importanti per la storia dell’istruzione dei non vedenti in primo luogo per la Riforma Gentile del 1923 che sanciva l’obbligatorietà dell’istruzione ai non vedenti e sordomuti fino al 14 anno d’età e, a seguire, per il passaggio degli istituti dei ciechi dall’inadempiente Ministero dell’interno nel 1926 a quello della Pubblica Istruzione decisamente più vicino alle attività degli enti.  Nel 1933 vi fu la parificazione della scuola di via Vivaio a quella comunale.

Una ulteriore significativa tappa per la scuola elementare dell’Istituto fu il riconoscimento negli anni Cinquanta di Scuola speciale statale dell’insegnamento dei ciechi grazie al Ministero.  In quel periodo l’utenza accresce notevolmente di numero dei convittori: si formano cosi 10 classi (5 maschili e 5 femminili) e l’ingresso degli alunni in comunità non era più a 8 ma a 6 anni. Il dato dell’età è testimone dei risultati raggiunti dalla tiflopedagogia agli albori della seconda metà del secolo: il bambino cieco poteva dunque frequentare la scuola alla stessa età dei compagni vedenti. La statalizzazione della scuola elementare si riflette anche nell’accrescimento delle carte prodotte dovuto ad una maggiore burocrazia richiesta dagli organi statali; i documenti scolastici arrivati fino a noi risultano inseriti in faldoni organizzati per voci tematiche e sistemati con cura ordinata dalla segreteria.

L'entrata in vigore della legge 11 mag­gio 1976, n. 360 sancisce che i ciechi possano frequentare la scuola di tutti, si conclude così il lungo cammino dell’inclusione scolastica degli allievi della comunità. A partire da quell’anno si inizia infatti l’inserimento graduale degli scolari nelle scuole dell’obbligo frequentate dai vedenti.

La Regia Scuola dell’Avviamento Professionale (poi Media statale)

Lavorazione del vimini, Istituto dei Ciechi di MilanoNegli anni Trenta venne aperta una scuola postelementare concepita per i convittori, negati alla musica per i quali si prospettava un futuro professionale differente da quello indicato per i compagni musicisti; qui si seguivano i programmi governativi per la lavorazione del legno, del vimine, per la fattura di prodotti minuti di artigianato e di maglieria. Una rapida rarefazione degli alunni di questo corso fu attribuita all’apertura nel 1939 della Regia Scuola d’Avviamento professionale per ciechi.  La nuova scuola strutturata nell’arco dei tre anni, era un corso primario d’istruzione professionale che poteva essere completato al termine della frequenza, presso l’attrezzato Istituto dei ciechi Vittorio Emanuele II di Firenze. I programmi svolti e le materie di insegnamento erano simili alle altre scuole d’avviamento e i laboratori erano quelli già proposti nella scuola postelementare.  Se negli anni Quaranta gli alunni si aggiravano intorno alle 40 unità, negli anni Cinquanta raggiungono un numero più cospicuo, nonostante si registrino diversi casi di abbandono scolastico, fenomeno abbastanza frequente in tutti gli Avviamenti.

Nel 1963 la scuola d’Avviamento diviene scuola media statale. Alcune materie tecniche insegnate vengono mantenute anche nella scuola media per ciechi quali ad esempio attività pratiche speciali e applicazioni tecniche speciali. Di questi trent’anni d’insegnamento in archivio è presente parecchio materiale: registri scolastici, circolari e corrispondenza con il Provveditorato agli studi di Milano, programmi e relazioni della docenza.

Negli anni Settanta per la scuola media la direzione dell’Istituto prospettò una risoluzione opposta a quella adottata per la scuola elementare: l’apertura delle iscrizioni ai ragazzi vedenti realizzando l’integrazione all’interno delle aule di via Vivaio.

 

L’Asilo Infantile Convitto Vitali

Luidi Vitali con i bambini ospiti dell'asilo, primo decennio del XX secoloFu il rettore Vitali, come già accennato in precedenza, a progettare un luogo che fosse adatto all’accoglienza dei più piccoli. L’idea si realizzò concretamente solo nel 1905 grazie al vigoroso appoggio economico delle dame della beneficenza milanese con l’impianto di una piccola casetta poco distante dall’Istituto dove vennero accolti i primi bimbi a partire dai tre anni d’età.

Nel 1910 l’Asilo riuscì a divenire sezione dell’Istituto; fu dotato di un regolamento proprio e per decisione consigliare prese il nome nel 1916 dal suo ideatore, Vitali. L’Istituto inoltre gli destinò una nuova costruzione: l’ala del fabbricato avente come facciata principale via Mozart; ora poteva ospitare una trentina di bambini della città, della provincia di Milano e delle provincie lombarde anche se in misura limitata, gratuitamente se la famiglia d’origine era povera, a pagamento se agiata. Al compimento dell’ottavo anno d’età i piccoli passavano se ritenuti idonei agli insegnamenti della scuola elementare. Del funzionamento dell’Asilo conserviamo materiali esigui: qualche registro dei piccoli iscritti, documenti relativi all’organizzazione delle feste di beneficenza le caratteristiche feste delle ova [11]per la raccolta di contributi e altre carte di natura contabile. Sappiamo però da fonti edite che l’asilo funzionava secondo i metodi montessoriani, si insegnavano giochi fröbeliani che si basavano sulla manipolazione di una serie di oggetti di legno di diverse forme geometriche (sfera, cubo, cilindro), filastrocche e canzoncine di gruppo, semplici esercizi ginnici, qualche elemento braille per la scrittura e la lettura. L’Asilo godeva inoltre di una moderna e razionale assistenza medico-igienica che prevedeva il consulto di un pediatra.

 In seguito alle vicende belliche l’Asilo fu chiuso nel 1940; riapri nel 1963 per proseguire la sua attività fino agli anni Settanta, quando cessarono le funzioni educative entro l’Istituto.

La Scuola Musicale

Allieva non vedente che suona l'arpaLa musica è da sempre stata appannaggio dei ciechi; fin dalla fondazione dell’Istituto i non vedenti imparavano a suonare uno strumento a fiato e a corda, a modulare la voce nel canto e apprendevano la notazione musicale attraverso i corsi tenuti da insegnanti prevalentemente ciechi. Come accadde per la scuola elementare, una vera e propria risistemazione dell’organizzazione didattica della scuola musicale venne effettuata nel 1915 grazie all’intervento del rettore Pietro Stoppani che con l’appoggio del Consiglio di amministrazione decise di avvalersi di esperti del settore musicale milanese, tra cui il direttore del Conservatorio Giuseppe Gallignani e il direttore della cappella musicale del Duomo Salvatore Gallotti,  a cui delegare la compilazione del nuovo programma finalizzato ad eliminare la disorganica gestione dell’insegnamento a favore di una specializzazione degli studi che potesse condurre ad attività semiprofessionali o addirittura, per alcuni sporadici casi, alla professione artistica. Le modifiche apportate furono importanti; si decise di limitare il numero degli strumenti musicali abolendo l’insegnamento dei fiati e riducendo l’orchestra dell’Istituto ai soli archi e di incrementare diversamente lo studio degli strumenti a tastiera (pianoforte, organo, harmonium) e del canto corale. Grande attenzione fu inoltre dedicata allo studio di teoria e solfeggio e di armonia e contrappunto.

Questa riforma, concepita per un numero più esiguo di utenti rispetto al totale dei convittori di via Vivaio, non escluse di fatto gli scolari meno portati per la musica i quali furono comunque tenuti a coltivare lo studio di uno strumento e della grammatica musicale almeno per l’intera durata del corso elementare. Per i ciechi non specializzati fu istituita un’apposita Scuola di Organo Pratico e molti non vedenti licenziati da quella scuola diventarono organisti presso le parrocchie dei loro paesi d’origine.

Pianista non vedenteNel 1920 con la chiusura dell’orchestra d’archi si diede avvio alle vendite di strumenti inutilizzati e agli acquisti degli strumenti previsti nel nuovo programma: tra il 1917 e il 1926 l’Ente fu in possesso di quattro organi e di oltre trenta pianoforti.

Gli anni Trenta furono assai rilevanti per la storia delle scuole musicali dell’Ente. Il direttore del Conservatorio Gallignani prendeva accordi con l’Istituto per definire un programma che potesse portare al riconoscimento, agli effetti legali, dei diplomi rilasciati ai non vedenti e nel 1925, la circolare ministeriale del 10 maggio del Ministro della Pubblica Istruzione disponeva: d’ora in avanti i ciechi siano fatti partecipare agli esami di ammissione nei Regi Conservatori di Musica, e, possano frequentarne regolarmente i corsi.[12]

Successivamente la Scuola musicale non subì variazioni degne di nota e l’attività musicale dell’Istituto non fu interrotta nemmeno dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, anche se per gli esami di Conservatorio, a causa dei danni provocati dagli ordigni bellici alle architetture, gli allievi dovettero rivolgersi al Civico Liceo Musicale Giuseppe Nicolini di Piacenza.

Negli anni Sessanta la Scuola musicale divenne Sezione distaccata di Conservatorio. Di questo passaggio istituzionale si costudisce in archivio documentazione interessante oltre a quella prettamente scolastica. Ultimamente grazie ad un sopralluogo sono emersi dalle cantine i registri musicali più antichi della scuola appartenenti agli anni Venti.

La Scuola di Lavori femminili (Maglieria e Tappeto)

Lezioni di lavori a maglia per le allieve dell'IstitutoAll’interno dell’Istituto il corso di lavorazione dei tappeti, ebbe un precedente di riguardo nel 1921: la scuola di manifattura dei tappeti di cocco. Quarant’anni dopo l’insegnante Lina Zucchi Montani recuperando l’antico modello, diede avvio a un corso femminile della durata di due anni in cui le allieve potevano apprendere le lavorazioni a nodo Ghiordes, a punto Kelim, a punto Smyrne e dei tradizionali tappeti pezzotti. Grazie ad un sistema di tavole in scrittura Braille dotate di segni convenzionali indicanti i colori, il numero e la tipologia dei nodi e con l’ausilio di telai verticali a mano, la scuola produsse professioniste capaci di confezionare quattro modelli di tappeto di ogni dimensione. Il laboratorio di maglieria nacque l’anno successivo nel 1962; le allieve dell’insegnante Mariateresa Turolla dopo aver seguito un corso in sede potevano tornare in famiglia con una macchina da cucire e attendere lì alla loro professione.  Questi corsi successivamente furono unificati nel 1968 in un'unica scuola definita dei Lavori femminili che proseguì fino agli anni Settanta. Di questa scuola conserviamo i registri scolastici e documentazione inerente alle forniture scolastiche per le diverse manifatture.

La Scuola di Massaggio

Fiosioterapista non vedente durante un'esercitazioneIl primo corso di massoterapia era stato attivato presso la Scuola di Rieducazione professionale pei militari ciechi nel 1916 ed era terminato nel 1922. Il cieco – diceva monsignor Pietro Stoppani nel 1923 – può riuscire masseur eccellente. Basta riflettere che il massaggio è affidato quasi per intero al tatto. È proprio questo il caso in cui il cieco, che suole nel senso tattile mettere l’attenzione e la cura che noi dedichiamo alla vista, presenta qualità e garanzie migliori. Nel suo tocco c’è per necessità una finezza ed una sapienza incomunicabile.[13]

Nel secondo dopoguerra, in seguito alla promulgazione della legge 376 del 15 giugno 1950, che obbligava ad istituire un posto di massaggiatore negli ospedali con non meno di 500 letti, da conferire agli abilitati da una scuola autorizzata, con preferenza ai ciechi, l’amministrazione dell’Istituto aprì la Scuola di massaggio nel 1959. La scuola si articolava su tre anni di corso di cui l’ultimo di tirocinio presso un ente ospedaliero; l’accesso ai corsi era riservato ad allievi e allieve di età compresa tra i diciotto e i ventiquattro anni con la licenza di scuola media o di avviamento professionale. Tutti gli iscritti del primo ciclo superarono brillantemente l’esame di abilitazione testimoniando l’elevata qualità degli insegnamenti; a coronare il successo dell’istituzione fu il Decreto della Presidenza della Repubblica del 4 maggio 1964 con il quale la Scuola di Massaggio dell’Istituto di via Vivaio veniva legalmente riconosciuta. Dopo aver toccato il tetto dei trenta iscritti nel 1968, la scuola interruppe la propria attività tre anni dopo a causa della raggiunta saturazione dei posti di massaggiatore presso i principali ospedali, case di cura e stabilimenti termali.

Si conservano di questa serie le carte relative al suo funzionamento, i registri scolastici, le prove attitudinali degli allievi.

                                                                                                                           

Bibliografia

(D)M.G.Bascapè, M. Canella, S. Rebora, Luce su Luce l’impegno della solidarietà dalla carità alla scienza, Milano, Silvana Editoriale, 2003

(C)S.Secchi, Origine ed evoluzione dei metodi di scrittura per ciechi all’Istituto dei Ciechi di Milano, Milano, Industrie Grafiche Vera, 1977

(A)P.Stoppani, La Scuola del Lavoro per i Ciechi, Milano, Scuola Tipografica Istituto S. Vincenzo pei Deficenti, 1923

(G)Alba Serena, Bollettino mensile per il bene dei ciechi, anno III, n. 4, Milano, aprile 1925

(L)https://www.istciechimilano.it/index.php/patrimonio-culturale

(L)http://www.lombardiabeniculturali.it/blog/percorsi/le-allegorie-dei-benefattori-dellistituto-dei-ciechi-di-milano/allegoria-della-fondazione-di-francesco-de-magistris


Note

[1] La sede dell’archivio è presso l’Istituto in via Vivaio 7, al secondo piano. Esso vanta spazi appositamente adibiti alla conservazione e alla consultazione dei materiali. E’ possibile esaminare la documentazione d’archivio previo appuntamento. https://www.istciechimilano.it/index.php/patrimonio-culturale

[2] I temi a cui si fa accenno sono evidenziati nel quadro allegorico della Fondazione dell’Istituto si veda http://www.lombardiabeniculturali.it/blog/percorsi/le-allegorie-dei-benefattori-dellistituto-dei-ciechi-di-milano/allegoria-della-fondazione-di-francesco-de-magistris

[3] Per una biografia sul fondatore M.Barozzi: Cfr.  Marco G Bascapè, Maria Canella, Sergio Rebora (a cura di), Luce su Luce l’impegno della solidarietà dalla carità alla scienza, Milano, Silvana Editoriale, 2003. pag. 82 e segg.

[4] Le sedi furono quattro: Pia Casa d’industria di San Vincenzo (1840), Pia Casa d’industria San Marco (1841), Corso di Porta Nuova (1855) e via Vivaio 7(1892). Cfr.  Marco G Bascapè, Maria Canella, Sergio Rebora (a cura di), Luce su Luce.., pag. 18 e segg.

[5] Sappiamo infatti dalla lettura dei cataloghi che erano presenti presso la comunità in quell’anno 22 allievi tra maschi e femmine, di cui possiamo conoscere la patria, l’età, gli anni di studio; l’indicazione del grado di progresso nello studio delle materie insegnate religione, leggere, scrivere, gramatica italiana, aritmetica, conoscenza e computo dei denari, storia sacra, principi di geometria, nozioni di geografia, lingua francese; i costumi; la disposizione intellettuale, le votazioni nello studio del cembalo, organo, tromba, violino, contrabbasso, clarinetto, flauto, ottavino, fagotto, arpa…e nella fattura dei cosiddetti lavori industriali (fattura di cordoni e nastri, intreccio di paglia, tornitura del legno, fattura di catenelle e corone, cinghie, guanti, borsellini di vari colori, pizzi, tappeti, cestini, conoscenza pratica dei colori ecc.). Archivio Storico Istituto dei Ciechi di Milano (ASICMi), Istituzione, Fondazione Istituto, Asilo Mondolfo e Asilo infantile Vitali, b. 1, fasc. 3.

[6] ASICMi, Assistenza e Istruzione (ex Beneficenza), Allievi, Fascicoli Ammissioni, b. 1, fasc. 3

[7] Sirio Secchi (a cura di), Origine ed evoluzione dei metodi di scrittura per ciechi all’Istituto dei Ciechi di Milano, Milano, Industrie Grafiche Vera, 1977

[8] Il Consiglio di amministrazione entrò in vigore dopo la morte del fondatore Barozzi. La prima seduta fu verbalizzata il 7 novembre 1869. ASICMi, Libri verbali CdA, reg. 1. Inoltre Sirio Secchi (a cura di), Origine ed evoluzione dei metodi di scrittura per ciechi all’Istituto dei Ciechi di Milano, cit, pagine finali del volume dove si riporta l’elenco dei direttori dell’Istituto fino agli anni Ottanta del Novecento.

[9] Cfr. Panzeri E., Istruzione, educazione e lavoro. Dall’assistenza alla formazione professionale 1936-1915 in Luce su luce, cit, pag. 163.

[10] ASICMi, Assistenza e Istruzione (ex Beneficenza), Scuole interne e Asilo Infantile, Scuola elementare, Scuola elementare (riformata e parificata), b. 1, fasc. 1

[11] Le feste furono introdotte per la raccolta dei contributi pro Asilo. ASICMi, Amministrazione, Direzione amministrativa, Manifestazioni Pro Asilo Convitto Vitali, b. 1, fasc. 3

[12] Assunzione dei ciechi nei Regi Conservatori di musica, in Alba Serena. Bollettino mensile per il bene dei ciechi, anno III, n. 4, Milano, aprile 1925, pp. 81-82.

[13] P. Stoppani, La Scuola del Lavoro per i Ciechi, Milano, 1923, p. 23.